Il passero solitario di Montale: un merlo azzurro e un filo rosso

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Abstract

A partire da un versetto dei Salmi e da un sonetto di Petrarca, la figura del passero solitario viene ripresa da vari poeti, che ne fanno ora un esempio di sofferente solitudine, ora un campione del canto melodioso, più raramente espressione di gioia vitale. Il canto di Leopardi, giustamente famoso per la sua bellezza e profondità, confina nell’ombra tutti gli antecedenti. Leopardi, che si identifica in parte con il passero solitario, impone all’immagine il sigillo del suo stile, sicché i poeti successivi oseranno raramente misurarsi con quel tema. Montale ritorna, in prosa e in versi, sull’immagine del passero, con il quale non si identifica espressamente, pur rivelando una misurata empatia. Negli scritti in prosa egli critica i commentatori che hanno scambiato il protagonista del canto leopardiano per un passero comune, uccello dal modesto cinguettio e di indole socievole, mentre si tratta di un volatile di specie diversa, il merlo azzurro o monticola solitarius, amante dell’isolamento e dotato di un canto melodioso, che gli ricorda un’aria della Manon Lescaut di Massenet. Inoltre Montale nomina il passero solitario in varie poesie, composte a partire dal 1945 e fin quasi alla morte. In questi versi il poeta ligure riflette, tra l’altro, sulla scia che gli animali lasciano nell’animo dell’uomo e soprattutto sul rimorso per aver ucciso un passero solitario in gioventù, durante i soggiorni estivi nelle Cinque Terre.
Titolo tradotto del contributo[Machine translation] Montale's lone sparrow: a blue blackbird and a red thread
Lingua originaleItalian
pagine (da-a)119-131
Numero di pagine13
RivistaNASLEDE
Numero di pubblicazione54
Stato di pubblicazionePubblicato - 2023

Keywords

  • Eugenio Montale
  • Giacomo Leopardi
  • Giovanni Pascoli
  • intertestualità
  • passero solitario
  • poesia del Novecento

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