Business judgment rule e interesse sociale nella «crisi». L'adeguatezza degli assetti organizzativi alla luce della riforma del diritto concorsuale

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Abstract

La riforma del «diritto della crisi e dell’insolvenza» del 2019 ha imposto in capo all’imprenditore (collettivo e, in termini sostanzialmente analoghi, individuale) il duplice obbligo di: (i) istituire «assetti organizzativi adeguati» “anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita di continuità aziendale” e di (ii) “attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” (art. 2086, comma 2°, cod. civ.). Tali modifiche offrono lo spunto per una rimeditazione di alcune vexatae questiones del cd. “diritto della crisi” e, segnatamente: (i) il noto principio della insindacabilità delle scelte di gestione (cd. Business Judgment Rule o BJR) subisce un qualche restringimento giuridicamente rilevante per effetto de (i nuovi obblighi di tempestiva rilevazione e reazione a) la «crisi»? (ii) Lo «interesse della società» subisce un qualche ampliamento giuridicamente rilevante (da interesse dei soli soci profit-oriented a interesse anche dei creditori solvency-oriented) per effetto della «crisi»? (iii) Esiste veramente un “diritto azionario (cogente) della crisi”, terza via tra il diritto societario delle imprese (azionarie) in bonis e il diritto concorsuale delle imprese (azionarie) decotte? Alla luce di un esame sistematico delle norme di diritto privato societario, di diritto privato concorsuale e di diritto penale concorsuale (le “vecchie” e le “nuove” disposizioni del cod. civ. e del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) si perviene alla (invero piuttosto gattopardiana) conclusione che nulla sia cambiato. La BJR non subisce alcun restringimento giuridicamente rilevante per effetto della «crisi»: essa continua ad applicarsi tel quel fino a quando l’impresa (azionaria) non sia tecnicamente «insolvente» o non abbia subito una «perdita qualificata del capitale». Egualmente, l’unico interesse sociale giuridicamente rilevante continuerà a essere, anche nella «crisi», quello dei soci al profitto: l’imprenditore avrà, anche nella «crisi», il “diritto/dovere” di “innovare” e di “creare” (su basi informative adeguate e organizzate), scegliendo sentieri non-battuti e adottando scelte contro-corrente (=orientamento al rischio). Sarà soltanto a seguito dell’insolvenza o della «perdita qualificata del capitale» che assumerà rilievo giuridicamente vincolante (con conseguente ampliamento della sfera dell’interesse sociale e speculare restringimento della BJR) l’interesse dei creditori a una gestione conservativa: l’imprenditore avrà soltanto più il “diritto/dovere” di attenersi scrupolosamente al sentiero ben-battuto e interamente conformista della “conservazione” dello status quo (=avversione al rischio). De iure condito, pertanto, il nostro ordinamento non conosce, allo stato attuale, un “diritto azionario (cogente) della crisi”. Il “sistema” delle responsabilità gestorie si conferma binario: diritto societario delle imprese (azionarie) in bonis o diritto concorsuale delle imprese (azionarie) decotte. Tertium non datur.
Lingua originaleItalian
Titolo della pubblicazione ospiteQuaderni di Giurisprudenza Commerciale
EditoreGiuffrè Francis Lefebvre spa
Numero di pagine174
Volume432
ISBN (stampa)9788828829072
Stato di pubblicazionePubblicato - 1 gen 2020

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